Gli investimenti in innovazione da parte delle imprese italiane sono in calo. Un dato cui si possono riservare diverse chiavi di lettura e un fenomeno le cui cause possono essere molte e di varia natura. Sicuramente, però, può essere giudicato un segnale cui prestare particolare attenzione: innovare, infatti, non è solo un modo per sviluppare le potenzialità non ancora sfruttate della propria azienda e del proprio settore, ma anche un processo in grado di offrire un vantaggio competitivo a chi lo mette in pratica con intelligenza e capacità strategica e gestionale.
Dati alla mano.
Il report dell’Istat dedicato all’innovazione delle imprese italiane e pubblicato pochi giorni fa attesta che gli investimenti in questa direzione, da parte delle organizzazioni del nostro Paese, sono in forte diminuzione e che stanno anche cambiando i modelli di organizzazione. Per rendersi conto della situazione, basta guardare ai dati relativi al triennio 2016-2018 e metterli a confronto con quelli del triennio successivo:
- in generale, la percentuale di imprese che ha svolto attività innovative ha toccato il 50,9%, perdendo cinque punti percentuali rispetto al triennio precedente.
- nel campo dell’industria, il 58,5% di aziende riporta attività innovative, ma gli investimenti in tal senso sono diminuiti del 7,2%, in particolare nelle imprese di piccole dimensioni.
- il calo degli investimenti è generale, come la propensione a innovare. Quest’ultima, però, varia a seconda della grandezza dell’organizzazione, passando dal 48,4% delle piccole imprese al 76% della grandi aziende.
- in discesa anche la percentuale di aziende che ha investito in innovazione di prodotto oppure di processo.
- resta ancora poco diffusa la formula della collaborazione tra aziende (non appartenenti allo stesso gruppo o legate da partnership) per sviluppare nuovi prodotti o elaborare processi più efficienti: le aziende tendono a cercare soluzioni interne e fare affidamento sulle proprie forze e capacità.

A rallentare gli investimenti sono spesso i costi relativi ai processi di innovazione e la forte concorrenza sul mercato. Non manca, naturalmente, tra le cause l’emergenza sanitaria, che ha avuto un impatto su circa il 65% delle aziende che nel triennio 2016-2018 avevano avviato attività innovative, in particolare sono state maggiormente colpite le imprese più piccole.
Insomma, un calo degli investimenti legato alla situazione contingente e al costo di innovare. Ma qual è il costo di non innovare? E, soprattutto, l’innovazione porta vantaggi in termini di efficienza, di produttività, di opportunità e di crescita: vale davvero la pena di tagliare i budget dedicati a questa voce?
Cos’è l’innovazione?
Se cerchiamo sul vocabolario il significato di innovazione, troviamo che si tratta dell’atto di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione. Un processo che porta l’azienda – indipendentemente dal suo settore di appartenenza e dalle sue dimensioni – verso benefici che toccano diverse aree aziendali e offrono vantaggi quasi sempre ampiamente superiori ai costi: l’innovazione è generalmente riconosciuta come un attivatore di vantaggi competitivi per le imprese. È un elemento che, gestito e applicato in modo efficiente, consente di fare evolvere l’intera organizzazione, perfezionandone le procedure, attivandone le potenzialità inespresse, stimolandone le persone e, di conseguenza, portandola a essere maggiormente efficace in ogni processo. Quindi, anche più competitiva nel mercato.
C’è di più: chi investe in innovazione acquisisce non solo dei benefici in termini di produttività, ma anche di attrattiva nei confronti dei talenti e degli investitori. Si tratta di un tipo di investimento che accompagna l’azienda nell’individuazione di nuovi schemi e nuovi modelli. Un tragitto particolarmente importante oggi, in un periodo in cui la crisi economica concorre a destabilizzare il modello della finanziarizzazione, mettendo in rilievo l’inadeguatezza delle strategie a breve termine, concentrate quasi sempre unicamente sul taglio dei costi. L’esigenza di basarsi su modelli solidi e proficui, che lavorino a lungo termine, non può che portarci a guardare all’innovazione come a quel processo in grado di migliorare – in tutti i sensi – l’apporto di ogni individuo, di ogni dipartimento, di ogni fonte di supporto per l’azienda.
L’innovazione porta vantaggi, ma non basta innescarla, è necessario alimentarla nel modo corretto, gestendo i processi strategici rivolti all’interno e all’esterno dell’organizzazione. E anche ad affidarsi a – e a formare – persone capaci di progettare e gestire i processi innovativi, per cogliere le opportunità del mercato attraverso risposte concrete e di valore.

Innovazione: costo o investimento?
Quando pensiamo all’innovazione, abbiamo in mente le più recenti tecnologie al servizio dell’efficienza in azienda. E molti investimenti – giustamente – vanno proprio nella direzione dell’adozione di tecnologie che consentano di ottimizzare l’operatività, aumentare la produttività, rendere più efficienti le procedure. Basti pensare ai Digital Workspace, che oggi più che mai rappresentano uno strumento in grado di accompagnare l’azienda attraverso la sua evoluzione, facilitando lo sviluppo di schemi operativi più funzionali e dotando i collaboratori di ogni area e competenza di strumenti avanzati che garantiscono risultati migliori e una decisa riduzione dei possibili errori. Ma l’innovazione 4.0 non si riduce alla componente tecnologica, ne comprende una altrettanto fondamentale: quella umana.
L’innovazione, che sia software o dispositivo, processo o schema, porta con sé il cambiamento. E questo non sempre è vissuto in modo semplice (e positivo) dalla popolazione aziendale. Si sa: davanti a ciò che conosciamo siamo molto più favorevoli rispetto a quando ci viene richiesto di rivedere le modalità e gli strumenti con cui svolgiamo le nostre professioni.
Di conseguenza, se da una parte innovare è introdurre nuovi modi di concepire e gestire l’operatività, dall’altra significa anche modificare il modo in cui le persone svolgono e pensano il proprio lavoro. Dalle mansioni quotidiane alla crescita professionale.
Preparare e stimolare le persone è una delle voci di investimento da considerare quando si guarda all’innovazione come strumento di miglioramento aziendale. Ecco perché l’adozione di strumenti innovativi, tecnologici ed evoluti, è il pretesto perfetto per favorire la diffusione di una nuova cultura aziendale, uno sviluppo delle skill delle persone dell’azienda, una revisione dei processi. Insomma, scegliere una strada di crescita per l’organizzazione e per le sue persone, valorizzando il capitale umano insieme a quello produttivo. Oltre tutto, questo aumenterà l’attrazione esercitata dall’azienda nei confronti di persone con competenze, interessi e valori in linea con il nuovo assetto operativo aziendale. Anche in questo caso, i Workspace digitali sono lo strumento più interessante da considerare, sia per la dotazione di applicazioni e strumenti digitali che offrono sia per la modalità di coinvolgimento delle persone, attraverso più vari strumenti di comunicazione, ma anche l’accesso alle informazioni necessarie per le proprie mansioni e la possibilità di accrescere la propria competenza e approcciare il lavoro in modo più libero, per quanto guidato, e responsabile.

In pratica, innovare costa, ma non innovare è un costo maggiore: non consente all’azienda di operare meglio e con maggiore efficienza, cioè di crescere, e non permette di far crescere le persone dell’azienda, offrendo loro un metodo per svolgere meglio e con migliori risultati il proprio lavoro, incarnando in modo ancora più definito il ruolo di risorsa più importante dell’organizzazione. Investire in innovazione è guardare avanti, oltre e in alto.
#DoBetterWithKeethings