Il nostro mondo è diventato digitale. È stata una trasformazione graduale, sia in termini di tempo sia in relazione alle aree che ha riguardato: prima alcuni servizi, poi determinate informazioni, campi di utilità, spazi di svago, strumenti di shopping.
Negli ultimi anni, abbiamo imparato a sfruttare le opportunità offerte dagli strumenti digitali per rendere più semplice e più ricca la nostra vita quotidiana. Tanto che una volta si tendeva a considerare appartenenti a sfere separate le attività che una persona svolgeva nella vita fisica e quelle che, invece, si rifacevano a “luoghi virtuali” o strumenti connessi. Si parlava di vita reale e vita virtuale o, per l’appunto, digitale. Oggi questa distinzione non esiste più: la vita è una e non c’è alcuna differenza percepita tra le esperienze fisiche e quelle appartenenti a ciò che facciamo attraverso app o siti web. Nella nostra quotidianità, dialoghiamo “dal vivo” e “in remoto” con familiari, amici e colleghi. Svolgiamo azioni reali e azioni digitali. Scegliamo un prodotto osservandolo sullo scaffale di un supermercato oppure attraverso le immagini di un’app di acquisto.
Siamo diventati essere fisici e digitali al tempo stesso. Capaci di abitare senza troppe difficoltà entrambi questi contesti, muovendoci a nostro agio e conoscendone le meccaniche e i vantaggi.
In un mondo sempre più digitale, le organizzazioni non fanno eccezione.
In una realtà del genere, non è per nulla sorprendente che la trasformazione digitale riguardi anche le organizzazioni e il modo in cui concepiamo l’operatività nel campo del lavoro. Abbiamo conosciuto personalmente l’impatto positivo della digitalizzazione nella vita di tutti i giorni, risulta molto chiaro che gli stessi (e altri) benefici possono essere applicati alla professionalità delle persone e alla produttività delle aziende. E, in effetti, di questo si parla molto. E non solo di recente.
Sono tante le idee che ruotano intorno alla trasformazione digitale del lavoro. Aggettivi come “smart” o “ibrido” e sostantivi come “digitalizzazione” o “workspace digitale” dominano ogni ragionamento collegato a questo importante tema. Naturalmente, quando i concetti si concentrano in parole chiave, spesso è presente anche un rischio di ambiguità. O, perlomeno, di riduzione di pensieri complessi a identificazioni troppo semplicistiche.
È proprio il caso, per esempio, del concetto di “smart working”, che ha acquisito impropriamente un significato ristretto al lavoro da remoto, ma che contiene molto di più: quell’aggettivo – smart – non parla di luogo, bensì indica una modalità di interazione tra l’azienda e i collaboratori che ha la sua forza nella flessibilità e nella liberazione da un’idea di operatività legata a rigidi criteri di spazio e tempo. Non riguarda solo la presenza in sede o no, ma la possibilità di fruire sempre e da ovunque degli strumenti avanzati necessari a essere efficienti nelle proprie mansioni. Di più: fruirne quando serve. Che significa maggiore efficacia delle proprie azioni e un campo di applicazione più fertile per le proprie competenze. Basta immaginare un tecnico che dovesse essere in sede per accorgersi di un problema di produzione legato, magari, al non corretto funzionamento di un macchinario e, quindi, dovesse avere il contatto diretto con la sua squadra (anche questa in sede) per valutare le soluzioni praticabili ed evitare ulteriori ritardi di produzione o problemi maggiori: i tempi di risposta sarebbero lunghi e la situazione sarebbe ancora più dannosa in caso di un malfunzionamento al di fuori dell’orario di lavoro. Immaginiamo lo stesso tecnico ricevere una segnalazione attraverso il modulo di monitoraggio della produzione sul digital workspace adottato dall’azienda e attivare immediatamente la comunicazione con il team, sempre attraverso applicazioni di chat o di messaggistica, per intervenire quasi in tempo reale: il tutto senza l’esigenza di essere fisicamente presente, senza il vincolo di un orario preciso, senza perdite di tempo e, di conseguenza, di produttività.
La cultura digitale rende le organizzazioni competitive.
In un contesto come quello attuale, la trasformazione digitale delle aziende non è semplicemente un’opportunità, ma una necessità. Restare competitivi oggi significa adottare strumenti evoluti, ma anche schemi operativi e strategici diversi da quelli dei decenni precedenti. La cultura e l’approccio gestionale delle organizzazioni non può prescindere dal nuovo corso digitalizzato. Adattare una mentalità tradizionale all’utilizzo di tool digitali non è sufficiente. E, quasi mai, porta un vero vantaggio produttivo. In pratica, è una condizione che rischia di far fallire il processo di digitalizzazione. Prithwiraj Choudhury, Associate Professor of Technology and Operations Management alla Harvard Business School, riguardo alla concezione di lavoro ibrido afferma che “non possiamo prendere il vecchio insieme di processi, applicarli al lavoro ibrido e aspettarci che funzionino”. Non è diverso se allarghiamo il discorso alla trasformazione digitale di un’organizzazione: resta l’esigenza di riprogettare gli schemi dell’operatività, partendo dalle nuove modalità con cui le persone dell’azienda condividono informazioni, collaborano, socializzano, attingono alle proprie competenze e agiscono. Considerando anche l’importanza di adottare strumenti idonei e nei contesti idonei. Laura Mae Martin, Productivity Advisor di Google, punta il dito su alcuni problemi di scelta o utilizzo dei mezzi moderni, sottolineando l’impatto che gli strumenti hanno sulla produttività: per esempio, il costante passaggio da uno strumento all’altro, spesso non in sintonia tra loro, è fonte di stress, affaticamento, calo della concentrazione e, di conseguenza, rallentamento della produttività. È necessario che gli strumenti “collaborino” tra loro in modo fluido, semplice ed efficiente.
Criticità e vantaggi.
Quindi, ecco alcuni punti chiave per lo sviluppo di una nuova competitività, basata sull’integrazione della tecnologia digitale in tutte le aree:
- strumenti mirati.
- scelte strategiche.
- cultura digitale.
- apertura al ripensamento delle dinamiche aziendali.
Ne conseguono il miglioramento dell’operatività, l’automazione dei processi, il risparmio di tempo, la crescita della produttività. Certo, non sempre questi punti sono di facile applicazione. Esistono diverse criticità da tenere in considerazione e da affrontare con la dovuta attenzione. Prima di tutto, è corretto dire che si tratta di una trasformazione che richiede un orizzonte temporale di medio-lungo termine, un impegno in termini di budget dedicato e di supporto da parte di molte figure aziendali. Supporto volto ad avviare il cambiamento e sostenerlo nelle sue fasi, ma in realtà la trasformazione tocca tutte le persone dell’azienda, le rende non solo partecipi, ma protagoniste dell’evoluzione. È appropriato definirlo un mutamento culturale dell’intera organizzazione.
Le criticità che questo processo può implicare sono di varia natura. Ma alcune sono più evidentemente individuabili. Tra queste, ci sono le conseguenze della variazione nel contatto umano: le interazioni passano più spesso dagli strumenti digitali, scompaiono quelle interazioni indirette o casuali, non finalizzate all’operatività. La “macchinetta del caffè” come luogo di breve pausa, ma anche di confronto “leggero” tra persone. Tutto questo comporta il rischio di far sentire più isolati i collaboratori, ridurne la soddisfazione in termini di socialità, ma anche di rapporto con i colleghi. Ecco perché il ricorso a strumenti di comunicazione versatili e di qualità è fondamentale, per consentire una collaborazione naturale, ma anche un’interazione “umana” tra persone appartenenti allo stesso team o a divisioni o settori diversi.
Un’altra criticità è legata alla capacità o alla preparazione (o, ancora, alla predisposizione all’apprendimento) delle persone nell’utilizzare strumenti avanzati. È importante quindi non solo predisporre un piano di trasmissione delle competenze necessarie, ma anche di motivazione delle persone ad acquisire quelle conoscenze e metterle in pratica nel proprio lavoro. Non solo, bisogna tenere conto delle differenze generazionali nell’applicare nuovi schemi al proprio lavoro. Per esempio, per quanto possa sembrare strano, il passaggio al lavoro in remoto o ibrido ha evidenziato pochi problemi da parte dei collaboratori più anziani ed esperti (benché meno portati alla tecnologia e per i quali è spesso necessaria una formazione digitale), mentre è stato accolto con difficoltà da quelli più giovani, che hanno lamentato una maggiore dose di stress e sono risultati meno motivati e meno produttivi. Hanno inoltre risentito della mancanza proprio di quei momenti di confronto “leggero” o di apprendimento “casuale” legati all’interazione sul campo con i più competenti. Un’altra criticità da tenere in considerazione è l’esigenza di una cultura aziendale che veicoli informazioni e messaggi chiari e coerenti e che sappia gestire il rischio di disparità tra i collaboratori che, per le proprie mansioni, saranno più coinvolti nell’utilizzo di strumenti evoluti e di ambenti digitali e quelli, invece, che manterranno un’operatività prettamente tradizionale.
I migliori alleati: i cittadini del mondo digitale.
E qui torniamo a quanto abbiamo detto nelle prime righe. Al mondo di tutti i giorni che è diventato sempre più digitalizzato e a noi, utilizzatori abituali di strumenti connessi, che siamo divenuti cittadini di un luogo digitale. Proprio la nostra abitudine all’uso quotidiano e differenziato di app e strumenti connessi ci rende i migliori alleati della trasformazione digitale in azienda.
Tutti i cittadini di un mondo digitale sono potenziali lavoratori digitali. Non significa che non sarà necessaria una formazione o che l’adozione di strumenti come, per esempio, i digital workspace sarà immediata e priva di gradualità. Significa però che, sfruttando la conoscenza e la consuetudine all’uso di mezzi di questo tipo, il passaggio sarà più agevole. Conterrà meno timori e meno freni e più familiarità. Siamo, forse, più pronti di quanto possa sembrare. Ricettivi verso una trasformazione che già abbiamo incontrato nella nostra vita personale.
#DoBetterWithKeethings